UNA RIFLESSIONE SU DUE MANIFESTI AFFISSI A ROMA
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Cari Amici,
alcuni Amici romani mi segnalano che nel mese di marzo, a Roma, hanno regalato un’altra perla che va ad arricchire la collana della nuova etica planetaria, tipica del pensiero unico universalmente corretto.
Il tema di fondo, in questo caso, è la difesa della vita innocente, declinata nei suoi diversi aspetti, primo fra tutti l’aborto. Da anni, e in condizioni sempre più difficili, tutti coloro che cercano di sostenere questa battaglia sono decisamente ostacolati, vilipesi, boicottati e, non di rado, fatti oggetto anche di violenza fisica. Essere antiabortisti non è più considerata una posizione religiosa, civile (o etica) pienamente legittima; essa a breve si configurerà come un vero e proprio reato penale.
In questo scenario è nuovamente la comunicazione – o meglio la sua manipolazione strumentale a servizio dei disvalori che reggono l’attuale società occidentale – a costituire la punta di lancia dei cosiddetti “diritti civili” ormai imperanti. Ma ecco la storia.
Nei primi giorni di marzo viene avviata a Roma, a cura dell’Associazione Pro Vita & Famiglia, una campagna di sensibilizzazione contro l’aborto e per i diritti della persona umana più innocente e indifesa: il nascituro. Il messaggio, di grande efficacia, è affidato a uno slogan collegato alla festa dell’8 marzo. I manifesti promossi mostrano infatti una bimba nel grembo materno, con la dicitura «Potere alle donne? Facciamole nascere». Foto qui sotto.
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Indipendentemente dalle opinioni di ciascuno, ritengo che nessuno sano di mente possa considerare questo messaggio oltraggioso, offensivo e, men che meno, violento. Ma siamo agli inizi del XXI secolo, in una capitale ferocemente laica, agnostica ed anticattolica. Una capitale da decenni governata da civilissime amministrazioni che hanno fatto delle parole d’ordine dell’Ue (aborto, transgender, eutanasia, eugenetica, ecologismo, lgbtq, immigrazione, ecc.) le bandiere di una politica che, come possiamo ben constatare, sta dando il peggio di sé proprio in questi ultimi anni.
Ecco quindi scattare la reazione. I manifesti vengono immediatamente rimossi con ignominia da tutta la città e la stampa riporta la trionfante dichiarazione di una certa Monica Lucarelli, assessora capitolina (mi raccomando la “a”) alle Attività Produttive e Pari Opportunità: «Abbiamo disposto la rimozione dei cartelloni della campagna Pro Vita, per violazione dell’articolo 12 bis sul regolamento per le affissioni. È infatti vietata l’esposizione pubblicitaria il cui contenuto contenga [sic] stereotipi e disparità di genere, veicoli messaggi sessisti, violenti o rappresenti la mercificazione del corpo femminile e il cui contenuto sia lesivo del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici». Mi viene in mente un aneddoto romano: “Chi stupido nasce, stupido ha da mori'”.
Lascio a ciascuno il commento su queste burocratiche e incredibili affermazioni, e confesso la difficoltà a reprimere sentimenti e sensazioni che poco o nulla hanno a che fare con quell’atteggiamento cristiano che dovrebbe essere adottato specialmente verso i più acerrimi nemici. Lo ammetto: in quest’occasione sono totalmente incapace di manifestare tale disponibilità.
Ma andiamo avanti. Sì, perché questa storia non finisce così. Non mi riferisco alla sacrosanta reazione di Pro Vita & Famiglia che, per bocca del suo portavoce Jacopo Coghe, ha minacciato di portare il Comune di Roma in tribunale. Ci saranno denunce ma, visto il tema in oggetto, non credo si troverà dall’”Alpi alla Sicilia” un giudice (o una giudicia, fate voi) che possa riconoscere le ragioni dell’Associazione. In ogni caso, come dicevo, non è questa la conclusione.
Infatti, pochi giorni dopo la talebana rimozione degli oltraggiosi manifesti, mi viene segnalato dagli Amici romani, che Roma viene nuovamente invasa da un messaggio pubblicitario anch’esso in “difesa della vita”, (Vedi il manifesto qui sotto) eccolo: «La sua vita dipende da te. Miliardi di animali sono uccisi ogni giorno. Fermiamo insieme questa strage». «Questo per dire – si precisa – che dipende da ognuno di noi il destino che riserviamo agli altri animali e il nostro invito è quello di scegliere di non dominarli e non mangiarli. Perché gli animali non sono cose, ma esseri come noi, in grado di provare gioia e dolore».
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Questi sono i nuovi diritti civili del XXI secolo. A dar retta all’assessora, dovrebbe configurarsi anche in questo caso un messaggio violento e un contenuto lesivo dei diritti e della libertà individuale di ciascuno. È un diritto o no quello di mangiare liberamente l'abbacchio al forno o un buon piatto di fritto di pesce? Lo è quello di metter su un’attività imprenditoriale come una macelleria, una pescheria o un ristorante senza essere aggrediti o minacciati, prima o poi, di dover chiudere? Ho il diritto, come allevatore di bestiame, di non essere considerato un assassino? Non esiste legge in vigore che impedisca queste attività mentre ve ne sono altre che le regolano e le rendono perfettamente legali. E allora?
Volete sapere quanti assessori si sono mossi per chiedere la rimozione del manifesto pro-animali? E quanti politici di area cattolica? Nessuno. Così, mentre l’immagine della bimba nel grembo materno è stata stracciata, calpestata e buttata via, i romani possono godere dell’edificante messaggio vegano che campeggia imperterrito lungo le vie della capitale.
Questa società laica e illuminista, così fiera di aver trasformato un’efferata violenza sui bambini in un diritto civile inalienabile, dovrebbe ripensare a quanto scriveva nel 1975 non già un prete o un politico reazionario ma Pier Paolo Pasolini: «Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché lo considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio… la vita è sacra: è un principio più forte ancora che ogni principio di democrazia».
Non so quanti cattolici, oggi, avrebbero il coraggio di denunciare in pubblico, con le stesse parole, l’infamia dell’aborto. Mi viene in mente una frase di Trilussa: “Spesso una cosa stupida si regge perché viene approvata dalla Legge.”.
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Un immenso grazie ad Andrea per le foto che mi ha inviato.
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