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LA BUFALA DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI E IL CATASTROFISMO MEDIATICO

  • Pascal
  • 4 lug
  • Tempo di lettura: 3 min

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Cari Amici e Nemici normo-ragionanti,

ogni anno di questi tempi, si replica l’ormai stesso copione: cioè la tendenza al sensazionalismo e al catastrofismo narrativo da parte dei media, con particolare riferimento alle notizie di carattere ambientale e climatico. Dopo il Covid, che ha monopolizzato l’informazione e in molti casi ha esasperato l’allarmismo, come dicevo si replica, in questo periodo, la narrativa sul caldo estivo che diventa protagonista di un racconto mediatico che spesso assume toni drammatici e sproporzionati rispetto alla realtà. Mi chiedo: se non fa caldo nel mese di luglio e agosto quando lo deve fare?

 

Titoli allarmanti, immagini apocalittiche, toni da bollettino di guerra: il caldo viene spiegato quasi come una nuova emergenza sanitaria globale, come il Covid. Il problema, però, è che molte morti vengono automaticamente associate alle alte temperature, senza un reale riscontro scientifico o senza attendere gli accertamenti medici. Si tratta di un processo fuorviante, che porta a interpretare ogni decesso sospetto come legato al caldo, quando spesso le cause sono ben diverse e legate a patologie pregresse, a condizioni di fragilità o a dinamiche del tutto indipendenti dal clima. Come del resto è successo nel periodo del Covid.

 

Questo approccio, oltre a confondere l’opinione pubblica, contribuisce ad alimentare un’ansia collettiva e una percezione distorta del rischio. Parallelamente, questa narrazione allarmistica si traduce anche in un’opportunità politica: l’inutile Unione Europea e molte forze governative nazionali stanno cavalcando l’onda dell’emergenza climatica per giustificare un’accelerazione sulle politiche ambientali, proponendo misure radicali in nome dell’ecologismo. Sebbene la transizione ecologica sia un obiettivo condivisibile, il rischio concreto è che questa venga imposta secondo logiche ideologiche più che razionali (si legga cosa ne pensano gli scienziati Rubbia e Zichichi ma non solo: https://www.qualenergia.it/articoli/i-500-scienziati-e-la-bufala-dellemergenza-climatica-che-non-esiste/), con effetti devastanti su interi settori produttivi, sull’occupazione e sull’economia in generale.

 

L’ideologia green, se applicata senza gradualità e realismo, rischia di diventare una nuova forma di dogmatismo che penalizza la crescita e la competitività dei paesi europei. In questo contesto, il ruolo del giornalismo diventa cruciale. I media non possono e non devono essere strumenti di propaganda o amplificatori di paure irrazionali.

 

Papa Leone, lunedì 12 maggio 2025, incontrando gli operatori della comunicazione, non a torto ha esortato: «Oggi, una delle sfide più importanti è quella di promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla “torre di Babele” in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi. Perciò, il vostro servizio, con le parole che usate e lo stile che adottate, è importante...». https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/speeches/2025/may/documents/20250512-media.html

 

È indubbio che i “cambiamenti climatici” siano in atto (ogni era ha avuto i suoi cambiamenti climatici) e che vadano affrontati con serietà e visione, ma attribuire a questi ogni disastro, ogni tragedia o anomalia meteorologica è fuorviante e diseducativo. L’informazione deve essere lo strumento attraverso cui il cittadino viene messo in condizione di comprendere, riflettere e agire consapevolmente, non un mezzo per generare paure irrazionali o per sostenere agende politiche precostituite (si veda la stupida teoria dell’agenda 2030).

 

Il catastrofismo mediatico, infatti, oltre a disorientare l’opinione pubblica, finisce per danneggiare la stessa causa ambientale, che viene percepita come una crociata ideologica anziché come una sfida comune e realistica. Il giornalismo (vana illusione) deve riscoprire la sua funzione originaria: informare in modo onesto, verificato, sobrio e responsabile. Solo così sarà possibile ricostruire un rapporto di fiducia con il pubblico e contribuire a una reale consapevolezza sui problemi del nostro tempo, evitando derive emozionali e allarmismi che, spesso, fanno più male che bene.


 
 
 

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