SPERO CHE IL COSTUME, ALMENO, ERA DEL COLORE LITURGICO GIUSTO
Cari Amici e Nemici,
in questo periodo estivo mi sono promesso di non vedere tv e leggere giornali per disintossicarmi dalle menzogne mainstream. Alcuni Amici mi hanno segnalato, però, una Messa in mare utilizzando un materassino come altare, con tutti i presenti in costume, compreso (ovviamente) il celebrante. Vedendo quelle foto mi è venuta in mente Seneca là dove dice: quos Deus perdere vult, dementat prius. A quelli che Dio vuole rovinare, toglie prima la ragione!
Nel corso dei decenni le hanno tentate tutte per mostrare una Chiesa “accattivante” (o semplicemente modaiola), ma a questo sacerdote va riconosciuto senz’altro il “merito” di aver superato tutti gli altri, buttando – letteralmente – a mare quel che resta della sacralità del culto cattolico ma anche del buon senso.
La bizzarra liturgia è avvenuta al termine di un campo di volontariato a Crotone, organizzato da Libera (l’associazione, guarda caso, fondata da don Luigi Ciotti). Qui il giovane sacerdote ha portato i suoi ragazzi a trascorrere alcuni giorni tra escursioni e incontri sulla legalità, al termine dei quali, essendo domenica, si doveva pur onorare il giorno del Signore. Ma dove? In chiesa sarebbe parso troppo scontato: «Avevamo scelto una pineta di un campeggio ma era occupata da un'altra iniziativa. Faceva molto caldo e così ci siamo detti: perché non fare la Messa in acqua? Una famiglia che si trovava nei pressi ci ha sentito parlare ed ha messo a disposizione il loro materassino che abbiamo trasformato in altare. È stato bellissimo anche se ci siamo scottati», riferisce il sacerdote.
Il diritto canonico sembrerebbe pensarla diversamente: «La celebrazione eucaristica venga compiuta nel luogo sacro [cioè, in chiesa], a meno che in un caso particolare la necessità non richieda altro; nel qual caso la celebrazione deve essere compiuta in un luogo decoroso» (Can. 932 §1). Ci sarebbe da dire sia sul luogo «decoroso» (che dovrebbe significare anche: adatto all’azione sacra), sia sulla «necessità»: possibile che non ci siano chiese a Crotone? Immaginiamo che non fossero raggiungibili facilmente dall’allegra brigata costringendola a “improvvisare”... però «il sacrificio eucaristico si deve compiere sopra un altare dedicato o benedetto; fuori del luogo sacro può essere usato un tavolo adatto, purché sempre ricoperto di una tovaglia e del corporale» (ivi, §2). Almeno un tavolo, non un materassino! E perché in mezzo all’acqua invece che sulla riva, non avranno mica naufragato? La mobilità dell’altare “aquatico” non avrà forse favorito la dispersione di frammenti? E come sarà andata per la comunione? La particola avrà cominciato a sciogliersi sulle mani probabilmente bagnate… Senza contare la possibilità che un’onda anomala travolgesse l’anomalo altare con tutto il Corpo e Sangue del Signore.
Se in contesti drammatici sacerdoti e fedeli sono stati costretti a celebrare con mezzi di fortuna, qui non siamo in un campo di concentramento, né in guerra, per cui l’unica «necessità» ipotizzabile è l’insopprimibile smania di protagonismo che da decenni spinge il clero a escogitare infinite variazioni di quella lex orandi che dicono sia e debba essere unica, ma invece si rivela di fatto una, nessuna, centomila.
La “Missa aquatica” di Crotone è la vetta (o l'abisso?) di una liturgia concepita come campo di battaglia in cui “vince” chi la inventa più grossa, annegando – è il caso di dirlo – l’unico vero Protagonista: il Corpo e Sangue del Signore.
Ancora una considerazione, sul piano più laico: immaginereste un giudice che, spinto dalla calura e dal desiderio di mostrarsi cool, decidesse di tenere un processo in spiaggia, col costume invece della toga? O un giornalista che trasmettesse il telegiornale a bordo piscina? Qualunque sia l’ambito, nell’esercizio delle proprie funzioni ciascuno tende a presentarsi in modo professionale. Ne va della serietà di ciò che sta compiendo. Non dovrebbe valere, a maggior ragione, per chi compie la più elevata delle funzioni, la più sacra delle azioni? A meno di non ridurre la Messa a un gioco di società... Il tutto con un sottinteso senso di “impunità”, sapendo di poter stravolgere il mistero affidato loro, ben sapendo di non rischiare nulla (curioso paradosso, dopo un campo sulla “legalità”: vale solo per le norme civili, mentre il Corpo di Cristo si può manipolare a piacimento?). Di certo il comunicato della diocesi di Crotone («è necessario mantenere quel minimo di decoro e di attenzione ai simboli richiesti dalla natura stesse delle celebrazioni liturgiche») non basterà a dissuadere il don Mattia di turno dal presentare il proprio numero sulla scena del cabaret liturgico, mentre gli unici a subire sanzioni concrete sono quei sacerdoti che celebrano con pietà e riverenza secondo un rito usato per secoli nella Chiesa.
La Messa di don Mattia è in realtà l'epifania della “pastorale della spoliazione”, che credeva di togliere orpelli e ha finito per perdere di vista la sostanza. Pur di “avvicinare” la gente (che non si è avvicinata affatto) alcuni chierici hanno iniziato spogliando gli altari. Poi hanno ridotto i paramenti, limitandosi a camice e stola, talvolta soltanto la stola. Infine, sono rimasti in mutande, pardon, in costume. Sarà stato, almeno quello, del colore liturgico giusto? Ripeto, a conclusione, ciò che dice Seneca: quos Deus perdere vult, dementat prius! A quelli che Dio vuole rovinare, toglie prima la ragione!
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