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UN GRANDE MAESTRO DELL'ARTE




Cari Amici e Nemici normoragionati,

piano piano i Maestri se ne stanno andando finché non toccherà anche a me, non tanto perché non sono un maestro, ma perché morituro... come tutti...!

In un paese come il nostro in cui tanti, troppi si riempiono la bocca dell’eccellenza del patrimonio culturale per poi svilirlo a scenario da parata o a merce di scambio, c’è davvero da rimpiangere la scomparsa di Antonio Paolucci, avvenuta a Firenze all’età di 84 anni, che avevo conosciuto a Roma, figura che ha sempre saputo coniugare la straordinaria competenza di storico dell’arte a una altissima visione civile, una fusione resa possibile dalla consapevolezza di cosa significhi davvero la parola “civiltà”.

 

Lo racconta in modo trasparente il suo curriculum in larga parte come funzionario pubblico. Sarebbe troppo lungo soffermarsi su tutti i suoi incarichi di grande prestigio svolti. Solo alcune precisazioni.

Dal gennaio del 1995 al maggio del 1996 ricoprì la carica di ministro per i Beni culturali nel governo tecnico (non certo felice) di Lamberto Dini, incidendo in modo sostanziale nonostante i soli 18 mesi al governo, nella percezione del patrimonio pubblico e della sua fruizione.

A Paolucci vennero affidati compiti delicatissimi anche dal punto di vista dell’attenzione da parte dell’opinione pubblica nazionale: dopo il terremoto che colpì l'Umbria e le Marche nel 1997, venne nominato commissario straordinario del governo per il restauro della basilica di San Francesco ad Assisi, seguendone e agevolandone a ogni passo i lavori.

Nel 2018 venne coinvolto anche nel processo di ricostruzione della basilica di San Benedetto a Norcia, semidistrutta dal sisma dell'Italia centrale del 2016.

 

Impossibile infine dimenticare i nove anni alla guida dei Musei Vaticani, dal 2007 al 2016, dove venne chiamato dal grande Benedetto XVI: un incarico arrivato al termine della carriera ma che Paolucci interpretò con un entusiasmo. Grazie a Lui ho potuto accompagnare i miei Liceali nei Musei Vaticani...

 

Antonio Paolucci si era laureato a Firenze in storia dell'arte nel 1964 con Roberto Longhi, dopo ampi studi sul Rinascimento, Caravaggio e i caravaggeschi e il Barocco. Aveva scritto su "Paragone", "Bollettino d'Arte", "Arte Cristiana”, pubblicato diverse monografie dedicate Piero della Francesca, Luca Signorelli, Antoniazzo Romano, il Battistero di San Giovanni a Firenze, le Pietà di Michelangelo.

 

In Museo Italia (1998) aveva raccontato la sua esperienza da sovrintendente e da ministro in un libro che nel titolo ricorda da vicino uno dei suoi cavalli di battaglia, l’idea dell’Italia come un grande museo diffuso in cui il patrimonio è distribuito su tutto il territorio.

 

Con lo stesso titolo aveva realizzato una serie di trasmissioni per Rai Cultura, che ne avevano reso ulteriormente familiare la presenza. D’altronde Paolucci incarnava la responsabilità verso il patrimonio culturale forse come prima cosa attraverso la sua divulgazione: soltanto rendendolo accessibile ne avrebbe qualificato davvero la sua dimensione pubblica e comunitaria. Paolucci si è speso moltissimo in questo senso e la stessa Jatta ricorda che «come nessun altro Antonio Paolucci sapeva ammaliare con i suoi discorsi.

 

Ci sono persone che hanno il dono della parola e lui era il re di quella categoria. Chiunque lo abbia ascoltato non può che confermare la sua profonda conoscenza delle cose d’arte ma soprattutto la capacità che aveva di raccontarle, incantando e avvolgendo con le sue parole che uscivano, naturalmente affascinanti, dalla sua bocca». Una missione e una passione civile a cui Antonio Paolucci ha dato corpo anche attraverso la lunga, affettuosa collaborazione con “Luoghi dell’Infinito”, la rivista di arte, cultura e itinerari di Avvenire, di cui era membro del comitato scientifico e le cui pagine aveva frequentato assiduamente per 15 anni, firmando per lunghi tratti in quasi ogni numero.

 

Grazie Professore! Come si era soliti dire: ad Jesum per Mariam! A presto!

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