QUELLA GIUSTIZIA AGGIUSTATA
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Cari Amici e Nemici normo-ragionanti,
la recente notizia dell’indagine verso la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, insieme ad altri Ministri fa pensare a interrogativi inquietanti sul ruolo e sulle intenzioni della magistratura italiana. Certe situazioni danno ragione a quanto a scritto Palamara nei suoi due libri che ho letto e che consiglio di leggere…
Questa inchiesta, però, più che un atto di giustizia, ha tutto il sapore di una vendetta. Una reazione rabbiosa di un potere che si sente minacciato dalle riforme e dai cambiamenti promossi dal Governo. Sarebbe questo lo “stato di diritto”? Il sacro graal di cui la sinistra si riempie la bocca solo quando serve a proteggere i privilegi di una magistratura che sembra credersi intoccabile?
Indipendenza della magistratura? Certo, nessuno la nega. Autonomia dei giudici? Ovviamente, è garantita dalla Costituzione. Ma autonomia e indipendenza non significano onnipotenza, né diritto al protagonismo politico, né tantomeno permesso di ingaggiare una lotta continua contro chiunque si permette di mettere in discussione il loro strapotere.
La magistratura italiana non è un assoluto, e la nostra Costituzione non le permette nessun diritto di immischiarsi nella politica. Nessuno ha mai attribuito ai giudici il potere di usare indagini e avvisi di garanzia come strumenti di pressione e ricatto, con metodi che ricordano più da vicino certe pratiche mafiose che non l’imparzialità e la terzietà di cui i giudici dovrebbero essere garanti.
È inaccettabile che una casta di magistrati, intoccabili e irresponsabili, possa condizionare il corso della democrazia attraverso azioni di minaccia. Il sistema delle correnti, le logiche da contrada, le manovre occulte dentro il CSM: tutto ciò è ormai evidente, chiaro (vedi appunto il caso Palamara), eppure nessuno sembra avere il coraggio di denunciare la deriva di un potere assoluto che non risponde a nessuno, non certo al popolo, né al parlamento, a nessuno!
Il tentativo di riformare la giustizia in Italia è sempre stato ostacolato da una magistratura chiusa su se stessa, che vuol essere libera di “funzionare” lentamente, male, una casta inefficace e ideologicamente corrotta, pronta a colpire chiunque osi metterla in discussione. L’Italia ha bisogno di una riforma della giustizia, tanto profonda quanto decisiva. La Presidente Meloni e il Suo governo tentano di mettere ordine in questo sistema marcio, ed ecco che arriva puntuale la rappresaglia sotto forma di inchieste e avvisi di garanzia.
La politica non può restare ostaggio di questo vespaio di “calabroni militanti”. È ora di riaffermare che in una democrazia i poteri devono essere equilibrati e controllati in maniera da permettere al cittadino di comprenderne l’azione, azione che deve essere trasparente e mai superare i limiti imposti dalla Costituzione. La magistratura deve tornare a fare il proprio lavoro: applicare la legge, non scriverla, né manipolarla; indagare i reati, non influenzare la politica. Non sta scritto da nessuna parte che le riforme della magistratura sono vietate.
Se questo è lo Stato di diritto che certa magistratura e certa sinistra difendono con tanto fervore (quando fa comodo a loro, almeno), allora è evidente che c’è bisogno di una profonda revisione del sistema. Perché in uno Stato veramente democratico la giustizia deve essere al servizio della legge, a servizio del popolo e non un’arma di lotta politica nelle mani di una cricca di ambiziosi moralmente corrotti. Non si avveri quello che, purtroppo, Trilussa ha profetato:
Giove disse a la Pecora: — Nun sai
quanta fatica e quanto fiato sciupi
quanno me venghi a raccontà li guai
che passi co' li Lupi.
È mejo che stai zitta e li sopporti.
Hanno torto, lo so, nun c'è questione:
ma li Lupi so' tanti e troppo forti
pe' nun avè raggione!
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