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QUEI DUE "BRAVI" RAGAZZI...


Riccardo e Manuel, sempre insieme, complici insieme anche nel male... Sono a Firenze per qualche giorno di riposo ma non riesco ad estraniarmi da quello che succede nel nostro, a volte, squallido vivere dei giorni... Due ragazzi che ammazzano i genitori! Mi chiedo: davanti a tanto orrore, davanti ad una tragedia che si ripete, non si può sperare che accada sempre agli altri, non è possibile non porsi delle domande. Cosa fare? Pregare per le vittime e per i ragazzi a loro volta vittime dei loro gesti, per l’altro figlio delle vittime che si è trovato in un attimo senza genitori e con un fardello di dolore sulle spalle non semplice da portare. Per la famiglia dell’assassino, padre, madre, tre figli, di cui uno disabile e ora quel figlio timido, che tutti dicono “buono” in carcere per omicidio. I due assassini sono “amici” da sempre, scrivo amici tra virgolette, perché in questa storia, ho l'impressione che le parole hanno perso il loro senso.

Amicizia, genitori, educazione, responsabilità. Amicizia: L’amicizia è una cosa grande, l’amico è uno che ti aiuta a guardare la realtà, che ti dice quando sbagli. Qui invece ci sono due fragilità, uno ragazzo timido disposto ad uccidere per compiacere l’amico, l’altro estroverso, un bullo, capace di architettare l’eliminazione dei genitori, di promettere dei soldi per questo. Un’amicizia fatta di spinelli, di assenze scolastiche, di giornate vuote, di sere passate a giocare ai video games, di incapacità di stare alle regole. Genitori: i genitori educando sbagliano, è sempre stato cosi, ma astenersi dall’educare è un delitto. Oggi si assiste ad un’assenza genitoriale, ad una resa. Ci siamo dentro tutti, bisogna prendere atto delle nostre fragilità e cambiare rotta, prima che sia troppo tardi. Farsi aiutare se serve. Perché questi ragazzi sono un po’ figli di tutti noi. Noi, che portiamo la cartella dei nostri figli sulle nostre spalle, perché non facciano fatica, che prepariamo la loro borsa della piscina o del calcio. Noi che non chiediamo loro nemmeno di farsi il letto, che quando vietiamo qualcosa, o diamo dei castighi non sappiamo rendere ragione di quello che facciamo. Noi, incapaci di dire loro che c’è il bene e il male, che chi sbaglia deve chiedere scusa, deve pagare. Noi, che non crediamo più la vita è un dono che va custodito. Noi, che allontaniamo da loro l’idea di peccato, che facciamo della morte un gioco. Noi, che lavoriamo molto per dare loro molte cose, ma spesso quello che manca loro è la nostra presenza. Educazione: è venuta meno l’alleanza educativa tra adulti. I genitori sono i sindacalisti dei figli, pronti a prenderne le difese nei confronti dell’allenatore, dell’insegnante, dei nonni, del prete e non capiamo che oggi più che mai questa alleanza va ripristinata. Una volta, se tornavi a casa a dire che avevi preso una pedata nel sedere da qualcuno tuo padre non andava a litigare con quel tizio, ma ti dava un altro calcio nel sedere. Il messaggio era chiaro. Responsabilità: viviamo in un mondo dove il desiderio diventa un diritto, dove non ci sono più responsabilità, dove qualunque cosa accade si cerca un colpevole e nessuno guarda alle proprie colpe. Non ci sono doveri solo il diritto ad essere felici. In questa storia drammatica, la vita ha messo davanti alle proprie responsabilità due ragazzi, due giovani che forse sino ad ora avevano solo pensato di avere il diritto di essere felici a modo loro, riempiendo la vita di cose, cercando di evitare la fatica (di studiare, di obbedire, di lavorare) come se la felicità si trovasse nell’assenza. Assenza di fatica, assenza di responsabilità, assenza di pensiero. Questa tragedia, come del resto le tragedie degli uomini lasciati che uccidono la moglie o la fidanzata, raccontano una storia più grande di una società fragile, egoista che non ha rispetto dell’altro, che non sa perché vale la pena vivere...

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