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TRA DIPENDENZA E SUICIDI



Con carissimi amici, parlavo di questo problema: quello che in Giappone si chiama “hikikomori”.


Non oso immaginare cosa provi un genitore vedendo il proprio figlio rin-chiuso in una stanza e incapace di rapportarsi con gli altri ma solo col proprio computer. Ne sono certo! E’ la conseguenza dell’assenza di stabilità familiare che sta facendo dilagare il fenomeno di ragazzi con questo problema. Ragazzi che passano le notti al computer spesso dormendo di giorno perché incapaci di reggere in una società super competitiva da cui si sentono rifiutati per quello che sono, a volte persino dai loro genitori assenti, divisi o impegnati in relazioni extraconiugali.


Da noi questi ragazzi vengono definiti “ritirati”, sono tra i 20 e i 30 mila e vanno dai 13 anni in su. Dalla descrizione che ne fa un libro che mi è stato regalato e che ho letto con attenzione, pur avendo non molta sim-patia verso gli psicologi, che raccoglie il contributo di diversi psicologi e psicoterapeuti, Il corpo in una stanza, emerge che spesso questi adolescenti sono stati studenti bravissimi che a un certo punto non hanno più sopportato il mondo in cui avevano successo. E così sono scappati. Compiendo una vera e propria fuga dall'esistenza che ha qualcosa di molto simile alla ricerca della morte. È, infatti, quantomeno significativo che proprio in questi giorni siano state pubblicate dal Center for Disease Control and Prevention, organismo della sanità pubblica americana che monitora la diffusione di malattie, cifre che mostrano un'impennata allarmante di suicidi: in soli 15 anni, dal 1999 al 2014, il numero delle persone che si sono tolte la vita è cresciuto del 24% (da 29 mila morti si è passati 42 mila), con un tasso di 13 decessi ogni 100 mila persone.


Aron Kheriatu, professoressa di psichiatria alla University of California e autrice di volumi sulla depressione giovanile, ha spiegato che la crescita dei suicidi dimostra che questi non sono legati solo a una componente di sensibilità personale o biologica, ma che esiste una influenza «ambientale, sociale e culturale». E quanto «porta le persone ad avere meno legami sociali, o ad essere alienate e isolate, incrementa il rischio di suicidi». Non a caso, la popolazione che divorzia o non si sposa «ha un rischio maggiore di uccidersi rispetto alle persone sposate». I dati, però, dicono anche che la popolazione più a rischio è quella delle adolescenti ragazze, fra cui il tasso di suicidi è triplicato. Secondo la Kheriatu questi numeri sono dovuti al fatto che la cultura fa sentire gli adolescenti come «degli oggetti: sono dei consumatori».


Ma basta davvero questo a ri-cercare la morte e a rendere insopportabile la vita?

Nel 1200 Federico II (sono antico lo so me lo dicono tutti) tentò di scoprire se esistesse una lingua primitiva ordinando che un gruppo di neonati fosse nutrito e lavato dalla servitù senza che nessuno potesse parlare loro. L’esperimento finì con la morte di tutti i bambini, dimostrando non solo che per imparare l'uomo ha bisogno di sentirsi voluto in una relazione, ma che rispecchiarsi nel volto dell’altro che lo ama è vitale.

Il grande Agostino d'Ippona parlava de "l'altro nell'io"! Tanto che vedendosi riflessi negli occhi di chi li considerava solo come oggetti utili a un certo momento sono morti.

Può sembrare eccessivo, invece non è inverosimile pensare che il disamore porti al desiderio di scomparire per non dover subire il continuo rifiuto del mondo. Tanto che la psichiatra spiega dalla «cultura che valuta e spinge i giovani al successo imprenditoriale, un successo materiale», e che tratta «gli adolescenti come strumenti invece che come un fine in se stessi», deriva anche la diffusione dell'anoressia, l'alienazione virtuale, la depressione e altre compulsioni anestetiche. Sembra una fissa, ma ancora una volta bisogna tornare lì perché, scava e ri-scava, finisce che il punto è sempre quello: il male che causa tutti i mali è che l'uomo è diventato un oggetto strumentale al potere del più forte. Quanti insegnati dovrebbero capirlo!


A mio parere l'aborto, l'eutanasia, la pedofilia, la sessualizzazione precoce sono tutte conseguenze della stessa malattia, così come lo è il suicidio giovanile. Uno sguardo sulla persona amputato dell'eterno e quindi materialista. Perché se la vita finisce qui conterà solo l'apparenza e il suo possesso e l'uomo non potrà che essere lo strumento “usa e getta” del potere. Questo materialismo è la «cultura della morte»! Che piaccia o no, a mio parere, bisogna ritornare a una visione trascendente dell'uomo in cui si riflette il volto del Tutto, ma non solo. Servono anche un rapporto e una via. Servono anche insegnati che oltre ai propri studi si sappiano mettere in gioco davanti alle problematiche dei propri alunni! La nonna me lo diceva sempre: “l’istruzione non fa la coscienza”!

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