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SENZA GUSTO E SENZA UN PUNTO DI RIFERIMENTO: ECCO IL NIEN



Una riflessione teologica!


L’altro giorno, girando in uno di quei luoghi infernali che chiamiamo supermercati, dove vige la legge della omologazione e non della identità, mi è venuto in mente che viviamo nella civiltà dei “senza”. Infatti, negli scaffali, trovi la pasta “senza” glutine, il latte “senza” lattosio, il caffè “senza” caffeina, il te “senza” teina e così via. Capisco preoccupazioni per la salute (su cui, comunque, mi pare che si stia esagerando), ma il risultato è che si fanno girare, molto reclamizzati, prodotti senza più gusto. Prodotti che perdono le loro caratteristiche originali e tipiche e che portano il consumatore ad accontentarsi di un di meno, che viene accettato perché la pubblicità dice che, invece, è un più.


Per qualcuno questa riflessione sarebbe banale, da bar, come dire, (anche se nei bar, lo devo riconoscere, molto spesso vengono dette cose molto più interessanti che nelle chiacchiere televisive, perché il grande Chesterton ha insegnato che l’uomo comune è molto più saggio dei presuntuosi intellettuali ed “esperti”). Tutti quei “senza” mi hanno fatto venire in mente che esiste, nel mondo, un vero e proprio inno, famosissimo, dedicato a tale posizione. Si tratta della canzone Imagine, cantata ovunque, (e che ho sentito ultimamente alla radio nei miei viaggi di questi ultimi giorni), canzone sottofondo per qualsiasi occasione, come se fosse la poesia della pace e della non violenza. In effetti, la musica è ineccepibile, ma con un testo, che, come minimo, definisco inquietante.


Infatti, quelle parole auspicano, senza mezzi termini, un mondo senza paradiso e senza inferno, un mondo senza un domani («vivere solo per l’oggi»), un mondo senza nazioni (cioè senza identità), un mondo senza religio (cioè senza ideali e senza un destino buono, visto che non c’è un mondo senza morte), un mondo senza proprietà (cioè senza un ambito proprio di ogni persona). Imagine trasmette l’idea, anzi l’ideale, di una realtà assolutamente piatta, senza drammi, senza domande, senza personalità, senza più gusto. Un mondo in cui non sia più necessario il sacrificio, in cui il Trascendente diventa inutile perché si censura utopisticamente il “guazzabuglio” che Alessandro Manzoni ha descritto in ogni essere umano. Lennon e compagnia festante vorrebbero un uomo che non c’è, un uomo che è ferito, a cui non bastano i “pannicelli caldi” (anzi tiepidi) di una utopia irrealistica.


E tutto questo mi ha fatto venire in mente un pensiero diffuso ormai, cioè un mondo “senza” un Dio, un Dio “senza” un Cristo e un Cristo “senza” una Chiesa. Cioè, un mondo senza un “luogo” in cui crescere ed essere salvati. Cioè un mondo senza “carne”, mentre il Dio in cui credo, si è fatto carne, cioè come me, per vivere con me il dramma della vita, la fatica dei giorni, senza togliere nulla e senza censurare nulla, ma assumendo tutto nella sua persona e così salvando e redimendo tutto. Senza alienanti utopie.


Sarebbe intelligente che si finisse di identificare in questa canzone uno strumento consolatorio e sentimentale di pace umana e di speranza nel nulla. C’è bisogno, piuttosto, di ri-tornare a un realismo dell’umano, che, sia a livello privato sia a livello pubblico, annunci il Cristo come unico salvatore di tutto, affinché si possa ritornare a «distinguere ciò che è meglio». Senza se e senza ma.

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