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TANTI AUGURI PAPA'



“Tu hai un padre. Cos’è la paternità? A volte è una guida, altre una ferita, altre ancora una presenza lontana che riempie la vita di nostalgia. Forse tuo padre ti ha insegnato a lavorare, a lottare per ciò che vale. Forse ti ha insegnato ad andare in bici o ti ha portato al mare per la prima volta. Forse ti ha indicato altri padri che ti hanno condotto più in là di dove lui poteva portarti. “ Jonah Lynch Nel bel mezzo del delirio che stiamo vivendo, dove nulla sembra essere importante, se non i desideri degli adulti che diventano diritti, una scuola di Milano ha pensato che festeggiare il papà fosse discriminante nei confronti di quei bambini che il papà non ce l’hanno. Abolita la festa del papà! Come abolire il bidet nelle case italiane per rispetto di quelli che a casa loro il bidet non ce l’hanno. Insomma, siamo al delirio, assoluta mancanza di buonsenso. Capito?


Chi è il papà? Quanto è importante il papà? Quale vuoto lascia la mancanza di un papà? A parte il fatto che un papà lo abbiamo tutti e non sto parlando del Padreterno. Parlo del papà che nel nostro “venire al mondo” ci ha messo il cromosoma Y. Poi capita che la vita sia esigente e così qualcuno il papà non lo ha più, perché se ne va, perché muore (come per me), perché ha abbandonato la mamma prima che lui/lei nascesse, perché con i metodi di fecondazione in uso oggi in questo paese che non ha rispetto per i bambini, qualcuno i figli se li fa in provetta, con un “papà donatore” uno che sparge vita e se ne va. Ma il papà c’è. Di lui abbiamo il sorriso o forse il naso, quel modo logorroico di raccontare le cose o forse quel desiderio di solitudine nelle giornate buie e solitarie. Il papà è importante, abbiamo bisogno di sentirci figli per scoprirci genitori. Oggi più che mai abbiamo bisogno di papà, in questa società che sembra una nave senza timoniere, c’è bisogno di un Papà. Scrive Franco Nembrini, nel suo libro “Di padre in figlio”: “Il segreto dell’educazione? Semplice, “non avere il problema di educare”. I giovani d’oggi? Sono fragili, sperduti, spesso in balia di se stessi, delle proprie paure, dell’aria che tira nel mondo. Ma il problema non sono i ragazzi, che “vengono al mondo come siamo venuti al mondo noi, e i nostri nonni, i nostri bisnonni, cento anni fa, mille anni fa. Sono come devono essere, nascono come Dio comanda, cioè con un cuore fatto per la felicità”; il problema sono gli adulti. Il problema è un mondo, una cultura che ha sistematicamente distrutto l’idea di papà. L’idea di un Papà, innanzitutto, e perciò l’idea di una paternità – e di una maternità – fondata sulla certezza di un destino buono da comunicare. Per cui quando un ragazzo, spinto dalle esigenze naturali del suo cuore, della sua ragione, a quindici, sedici anni domanda, espressamente o implicitamente, una ragione per cui valga la pena vivere, trova troppo spesso risposte formali (la “legalità”), evasive (“devi trovare la tua strada”), ciniche (“quando sarai grande capirai che nella vita quel che conta è il successo”), autoritarie (“in questa casa è così, e basta”). Invece tutto quel che un ragazzo cerca è un adulto impegnato seriamente con la propria vita, un adulto capace di testimoniare – nei fatti, nel modo di trattare il tempo, il lavoro, la casa, i soldi, i discorsi qui servono pochissimo – che la vita ha uno scopo buono, che è un’avventura piena di senso, che le regole affondano la radice nell’esperienza di bene che aiutano a fare. “Lo dico da cristiano, ma la sfida è uguale per tutti. Se doveste alzarvi e dirmi: ‘Ma io non credo’, direi che non importa, vale la stessa cosa perché, giratela nella forma più laica che conoscete, la sfida è identica, è tuo figlio che ti guarda e ti dice: ‘Dimmi comunque qual è l’ipotesi di bene su cui basi la tua vita’. Tu devi poter rispondere, non a parole ma per un’esperienza vissuta, per la testimonianza di un’esperienza vissuta”. Quindi non è abolendo l’occasione per festeggiare il papà che si colma quella mancanza di papà, ma insegnando quale grande importanza è il papà, insegnando che se il papà non c’è, abbiamo altri adulti a cui guardare, perché si può essere papà di figli non nostri, di alunni, di amici, di figli di amici, perché quel desiderio di essere figli è così forte che quando si trova un “papà” significativo, capace di indicare la via, si guarda a lui, si cerca in lui qualcuno che ci dica che “vale la pena vivere, lottare, faticare per essere felici”. Poi, non dimentichiamolo mai, bisogna essere figli, sperimentare la figliolanza, per essere poi papà, per cercare di essere come o meglio o l'opposto di nostro papà. Tanti auguri papà! Ti voglio bene!

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