LA SPERANZA CONTRO OGNI DISPERAZIONE
- Pascal
- 8 mag 2016
- Tempo di lettura: 2 min

Abbiamo tutti bisogno di coraggio e speranza davanti alla tentazione della disperazione e della resa, dell'angoscia verso il futuro che si potrebbe insinuare dentro di noi...
Se il rischio dei tempi di relativa sicurezza è quello della presunzione, il rischio opposto è quello di vivere la paura del domani in maniera più forte della volontà e dell’impegno di prepararlo. Vivere l'oggi vuol dire accogliere la sfida della speranza che ha il coraggio di cominciare sempre di nuovo nell’amore.
Da poco tornato da Napoli, dove ho potuto visitare dove è vissuto il grande Tommaso d'Aquino che affermava «la speranza è l’attesa di un bene futuro, arduo, ma possibile a conseguirsi». E Kierkegaard definisce la speranza: «la passione per ciò che è possibile».
Jürgen Moltmann, definisce la vita come «l’aurora dell’atteso, nuovo giorno che colora ogni cosa della sua luce», evidenziando come vivere nella speranza significhi «tirare l’avvenire del Tutto nel presente del mondo». L’incrocio di questi approcci mostra di quante attese la speranza può farsi carico. C’è il futuro come progetto e come impegno, dilatazione del nostro presente agli orizzonti del domani che esso è in grado di prevedere e di portare a compimento.
Di questo futuro si nutrono le tante speranze, piccole e grandi, di cui sono intessuti le opere e i giorni degli uomini. Esse, però, da sole non coprono l’intero orizzonte: consapevoli o no, tutti abbiamo bisogno di una speranza più grande, di una speranza ultima, che non "divenga" in noi, ma che "venga" a noi.
È questa la speranza cui corrisponde il futuro "assoluto", quello del tutto indeducibile e nuovo, che ci viene incontro al di là di ogni calcolo e di ogni misura. Di questo futuro ultimo è sentinella la morte, compagna dichiarata o segreta di ogni meditazione profonda sul destino dell’uomo e del mondo.
Ernst Bloch vede in questo futuro lo spazio dell’utopia, che rende la vita degna di essere vissuta.
La differenza fra l’utopia e la speranza è quella stessa che c’è fra l’uomo solo davanti al suo domani e l’uomo che ha creduto nel Tutto e aspetta il suo ritorno, andandogli incontro con inequivocabili segni di preparazione e d’attesa. Davanti agli scenari del tempo che viviamo, segnati da paura e insicurezza, la speranza utopica rischia di essere evasione consolatoria, fuga dalle responsabilità del presente.
La speranza invece misura con l’"impossibile possibilità" del Tutto, e proprio per questo con quella maggiore audacia dell’amore che rende possibili gli altrimenti impossibili gesti dell'amore vissuto fino in fondo.
Se c’è perciò un frutto che dovremmo augurarci tutti, questo è la speranza teologale: una speranza più forte di ogni calcolo, eppure umile e fiduciosa nella promessa dell’Altro che è venuto a visitarci. Questa speranza non è qualcosa che si possieda, ma Qualcuno che venendo a te ti possiede: come dice un antico proverbio napoletano, «se po’ campa’ senza sape’ pecché, ma non se po’ campa’ senza sape’ pecchì». Si può vivere senza sapere perché, non si può vivere senza sapere per chi: la speranza teologale realizza nella maniera più alta questa verità, in quanto ti apre a Chi per cui vale la pena di vivere, amare e sperare sulla parola della sua promessa: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
È questa la speranza che coniughi la giustizia e il perdono e possa perciò generare frutti veri d'amore.
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