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MANZONI, IL MEDIOEVO... E LE BANALITA' DI UMBERTO ECO



Mi assale sempre un senso di sgomento e di silenzio vedendo venir meno i grandi che, in qualche misura sono stati all’origine della mia preparazione culturale o delle mie letture... E di conseguenza prendo atto che più passa il tempo e più le persone vengono meno… Pensando a Eco, poi, mi viene in mente Manzoni quando dice ricordando la fine di Napoleone: “Fu vera gloria?”


Dopo aver indicato subito che saranno i posteri a decretare il valore del suo operato, in conclusione Manzoni specifica che in ogni caso la gloria umana è ben poca cosa di fronte all’eternità e alla salvezza, è quest’ultima quindi da ricercare in ogni modo e da auspicare con la preghiera per chiunque ci ha lasciato.

Per questo ho scritto su facebook rispondendo a una persona negli amici, Eco adesso avrà verificato se Adso da Melk è realmente caduto nel «grande nulla» (cito dal finale de Il nome della rosa) o se ha scommesso sul cavallo sbagliato. Io, che ho scommesso sull’altro cavallo, dico il mio requiem. Aggiungo l’onore delle armi e una mia preghiera speciale in questo Giubileo di Misericordia.


Molti conoscono Eco per il suo primo romanzo, Il nome della rosa. Ero studente quando lessi Il nome della rosa che apprezzai all’epoca per la trama, per gli intrighi e le vicende da giallo. Crescendo e appassionandomi del Medioevo mi resi conto che la visione che Eco aveva presentato era molto stereotipata, molto distante dall’epoca che avevo scoperto io, l’epoca delle cattedrali, della musica gregoriana e polifonica, della Divina commedia, di Giotto, delle storie di Francesco nella Basilica di Assisi, l’epoca di castelli e città turrite.


Chi visitando Siena o S. Gimignano, Mariabronn nelle Renania, ancora, le meravigliose città della Provenza avrebbe il ben che minimo dubbio a sconfessare la tradizionale definizione di Medioevo come epoca buia ed oscurantista? Studi particolareggiati sui documenti di archivio dimostrano che il fervore del Duecento e del Trecento (secoli che appartengono a pieno titolo al Medioevo) hanno le loro radici nella società e nella cultura che si è sviluppata nei secoli dopo la caduta dell’Impero romano. Si può dire che Umberto Eco abbia contribuito a far conoscere meglio il Medioevo presso il grande pubblico? Senz’altro sì. Ma quale immagine viene trasmessa ai lettori non dico nei suoi saggi, ma nel suo romanzo che ha venduto più di ogni altro scritto?


Ne Il nome della rosa superstizione, roghi, streghe, ignoranza, Chiesa corrotta ed eresie sono gli ingredienti dominanti per un mondo di intrighi che sembra più rispondere a esigenze costruttive di un giallo che ad un’ipotesi di ricostruzione storica veritiera. Così, anche a scuola, la maggior parte degli studenti, purtroppo, conosce questo Medioevo da Nome della rosa. Eco ha descritto nel romanzo il becero luogo comune, passato come vero, di un’epoca oscurantista e buia, quella che Voltaire aveva definito epoca di barbarie, superstizione, ignoranza, pregiudizio che la storiografia settecentesca aveva diffuso nella produzione letteraria, pamphlettistica, giornalistica e saggistica del secolo. Nonostante la storiografia più recente, guidata da quella Regine Pernoud che è stata definita la “Signora Medioevo”, abbia sfatato questo mito negativo e molte pubblicazioni hanno iniziato a rendere merito a un’epoca di fioritura economica, tecnologica, scientifica, artistica e letteraria, nella cultura comune, però, l’immagine dei “secoli bui” è faticosa a morire.


Rodney Stark scrive: «Per fortuna, negli ultimi anni queste opinioni sono state completamente screditate, al punto che anche alcuni dizionari ed enciclopedie hanno cominciato a considerare i Secoli Bui solamente un’invenzione. Sfortunatamente, però, il mito ha pervaso la nostra cultura così a fondo che la maggior parte degli studiosi continuano a dare per scontato che, come afferma Edward Gibbon, dopo la caduta di Roma ci fu «il trionfo della barbarie e della religione».

Qualche anno fa mi imbattei nuovamente in un giudizio di Eco che mi lasciava molto perplesso, questa volta riguardava Alessandro Manzoni. Eco, cimentandosi nella riscrittura dei Promessi sposi per la serie «Le grandi storie della letteratura raccontate dai grandi scrittori di oggi», commentò: «Il signor Alessandro sembra amare molto i poveretti, ma certo non sa proprio come aiutarli a far valere i loro diritti. E siccome, per l’appunto, era un cristiano assai fervente, tutti hanno detto che la sua morale era che bisogna rassegnarsi e sperare solo nella Provvidenza».

Devo ammettere che queste considerazioni le trovo davvero riduttive e superficiali e in profondo contrasto non solo con le vicende raccontate ne I promessi sposi, ma anche con il contenuto che Manzoni ha voluto veicolare, espresso così bene ne «Il sugo della storia». Pensai allora che spesso non bastano comunque l’immensa cultura, gli studi e le ricerche, la fede stessa è un fatto culturale. Pensai che davvero la fede è una luce che ci permette di vedere la realtà con occhi diversi, di camminare per una strada e di vedere distintamente i segni e gli indizi, di leggerli e di procedere sul sentiero senza uscire dal tracciato.

Ho in mente Dante che nel suo canto XXII del Purgatorio Stazio offre di Virgilio, quando spiega che l’autore dell’Eneide fu per lui come un lampadoforo che giovò agli altri illuminando la strada che si trovava dietro a lui. In questo modo Virgilio fu determinante alla conversione di Stazio.

Ovviamente la mia è una riflessione prettamente teologica e filosofica. Non sono un Professore di Letteratura e conosco Manzoni oltre che per gli antichi programmi liceali solo come passione di lettura e riflessioni personali…


Chiudo con un saluto e una preghiera per Eco e con l’auspicio che nelle prossime settimane si possano esprimere pareri che non siano solo cieche palinodie della sua opera e dei suoi pensieri, ma che al contrario possano essere finestre aperte sulla sua opera e sulla sua persona, ricche di spunti di riflessione per la crescita della cultura e del sapere. Eco, sit tibi ubicumque pax!

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