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1969-2019
50 ANNI DELLA CONQUISTA DELL'UOMO SULLA LUNA
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...O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!
G. Leopardi, Alla luna
Cinquantanni fa l'uomo mise per la prima volta piede sulla Luna al culmine di una folle corsa tra Stati Uniti e Urss, con i russi capaci di mandare per primi in orbita lo Sputnik e Jurij Gagarin. In quegli anni spirava forte il vento della Guerra Fredda e gli americani misero in campo qualsiasi mezzo economico e umano per vincere questa battaglia, poi aggiudicata con la celebre missione dell'Apollo 11 guidata da Neil Armstrong.
L'occasione si celebra in tutto il mondo quella missione. Non è soltanto storia, seppur nessuno abbia più messo piede sul satellite dopo la missione Apollo 17 del 14 dicembre 1972, è ormai chiaro che ritorneremo ben presto a saltellare tra le sue lande desolate, e questa volta lo faremo per restarci.
In questa pagina ti offro alcuni spunti di riflessione sull'argomento.
QUELL'ESPERIENZA DEGLI UOMINI SULLA LUNA
di Diego Santimone
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Un libro interessante sull'argomento – soprattutto tradotto in lingua italiana – che narra dell’impresa lunare delle missioni Apollo è il libro-intervista Polvere di Luna (titolo originale Moondust) di Andrew Smith.
Lontano da informazioni tecniche, statistiche e dati, Smith ha realizzato alle soglie del XXI secolo un’opera-testimonianza scaturita dalla personale constatazione che entro pochi lustri gli uomini dell’Apollo avrebbero terminato il loro viaggio terreno a bordo dell’astronave Terra.
Ha così deciso di incontrare i nove astronauti lunari ancora in vita per poter cogliere quella che è stata la loro esperienza umana, al di là di ogni (importante) dato tecnico e scientifico. Il risultato è un libro capace di cogliere l’altro programma lunare, quello talvolta trascurato nei libri di storia: «Più si guarda ad Apollo e più sembra che vi siano stati al suo interno due programmi spaziali nettamente distinti che correvano in parallelo: uno ufficiale che aveva a che fare con l’ingegneria, il volo e il fatto di battere i sovietici, e un altro ufficioso, quasi clandestino, che riguardava le persone e il loro posto nell’universo: la coscienza, Dio, la mente, la vita» (A. Smith, Polvere di Luna. La storia degli uomini che sfidarono lo spazio, Cairo Editore, Milano, 2006, pp. 316-317).
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L’autore struttura in maniera sistematica e sincronica i contributi degli uomini dell’Apollo, facendo emergere vissuti personali e familiari, ricordi delle missioni svolte, riflessioni circa l’esistenza, nonché il riconoscimento del contributo che l’Apollo ha avuto nel definire/modificare la loro vita. È il peso della Luna nella loro storia.
Nel tempo seguente alle missioni, molti uomini della Luna hanno vissuto un senso di frustrazione per la fine dell’esperienza, di delusione nel constatare di essere nuovamente legati alle catene della gravità terrestre.
Il loro viaggio non è stato indifferente, a nessuno di loro: «sono dovuti tornare indietro e dissolvere la loro eccentrica odissea in una qualche esistenza terrestre, cercando di scendere a patti con noi e con la quotidianità. Hanno dovuto reimparare come vivere una vita, cercare di trovarvi un nuovo significato, lì sulla Terra, in quell’angoletto del vasto cosmo in cui hanno avuto l’inaccessibile fortuna di imbattersi» (p. 319).
In seguito alcuni astronauti Apollo fecero scelte di vita molto lineari e coerenti alla loro carriera lavorativa pregressa; le biografie di altri invece stupirono per la loro imprevedibilità ed eterogeneità. La cosa diviene più interessante se si considera che fra i primi spiccano in stragrande maggioranza i comandanti di missione (con il sedile di sinistra sul modulo lunare) e fra quelli del secondo gruppo i piloti del modulo lunare (con il sedile a destra). Senza voler proporre una tesi scientifica – a causa dei pochi dati statistici disponibili – è sicuramente interessante cogliere questa sottolineatura, avanzata dagli stessi astronauti. Ed Mitchell, pilota del modulo lunare di Apollo 14 ha affermato che: «I sei che sedettero a sinistra seguirono – dopo il rientro sulla Terra – percorsi prevedibili, ma i sei dei sedili di destra imboccarono ogni genere di direzione inaspettata. È un fenomeno noto negli studi militari: chi sta nel sedile dietro di un velivolo a due posti e chi sta ai comandi hanno esperienze diverse perché sono concentrati su cose diverse. Quelli di noi che sono stati sulla Luna come piloti del LM (…) potevamo assimilare e riflettere su quello che stavamo facendo in modo più approfondito» (pp. 364-365).
Il fenomeno del “posto destro – posto sinistro” è interessante nel suo significato ultimo: la persona umana viene ispirata e condizionata nel profondo – fino a influenzare le scelte di vita più diverse – se ha la possibilità di aprirsi/dedicarsi al pro-vocante sublime che il viaggio lunare propone. Ecco allora le storie di uomini lunari che divengono imprenditori, ricercatori parascientifici, artisti, ministri di culto, evangelizzatori: quello stesso thauma che fece cadere Talete nel pozzo raggiunge e stimola la contemplazione di esseri umani lontani 380.000 chilometri dalla Terra.
La Luna non è esperienza che fa accedere ad una meraviglia esclusiva. È invece “semplicemente” una delle possibili pro-vocazioni delle dimensioni più basali e profonde dell’essere umano, di determinazione della propria esistenza ed unicità; durante la missione Apollo 12 Alan Bean disse a sé stesso: «Se torno a casa, vivrò la mia vita a modo mio» (p. 205).
La Luna ha sprigionato l’umanità degli uomini Apollo che l’hanno toccata, amplificandola, nel bene e nel male; è stata fedele al compito che svolge fin da quando esiste: «Per me (Smith, ndr) è questa la lezione collettiva sorprendente degli uomini della Luna. Nessuno ne è stato cambiato, ma ciascuno ne è stato galvanizzato. Qualunque cosa abbiano portato con sé, l’hanno riportata indietro moltiplicata per dieci, come carboni frantumati in diamanti. Attraverso l’Apollo la Luna ha fatto quello che ha sempre fatto: riflesso luce fresca su quello che già c’era» (p. 383).
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Il viaggio lunare si è rivelato come occasione antropologica: «Chiedo a Schmitt (Apollo 17, ndr) se pensa che andare sulla Luna l’abbia cambiato, ripetendo l’opinione di Alan Bean secondo cui tutti gli esploratori lunari siano tornati in realtà più simili a come erano già, e il viso gli si illumina» (p. 317). Uno thauma – quello lunare – che radica profondamente quegli uomini alla terra abitata dall’umanità: «Al ritorno dallo spazio, Alan Bean (Apollo 12, ndr) sedeva per ore al centro commerciale di Houston a mangiare il gelato e a guardare la gente turbinare intorno a lui, rapito dal semplice e miracoloso fatto che erano lì ed erano vivi in quel momento, esattamente come lui» (p. 382).
Polvere di Luna non è un racconto “spaziale” generato nel vuoto cosmico, ma in case e salotti. E non sono uomini d’acciaio o intrepidi ironman quelli che vengono intervistati, ma astronauti che disvelano la loro piena umanità, ormai anziani, legati spesso da una forte amicizia o da una mirabile stima reciproca, consorti di mogli e padri di figli che intervengono senza timore nel testimoniare l’esperienza che la Luna gli ha fatto sperimentare nella loro relazionalità familiare.
E addentrandosi nei dialoghi e nelle interviste, si ha la sensazione simile a quella provata nell’ascoltare i racconti dei propri nonni o degli anziani del paese. E si scopre che i propri nonni, plasmati e forgiati dall’esperienza della vita, sono stati eroici tanto quanto gli astronauti Apollo, nell’aver “semplicemente” accettato la sfida del pellegrinare umano più importante. Quello dell’esistere. Ed anche il lettore si percepisce destinato a questa grande vocazione eroica che è la vita umana. Riflettendo circa la stesura del libro Smith afferma: «Proprio come loro sono andati sulla Luna solo per trovare la Terra, io sono venuto a cercare loro ma quello che mi pare di vedere è me stesso e chiunque altro rilesso in loro: scopro che i pensieri e le domande che gli esploratori suscitano in noi che li guardiamo valgono più di qualunque risposta possiamo sperare di ricavarne; che il nostro incanto non è per loro, è per noi stessi. E per me questo rispecchiamento ha un senso ancora più profondo, perché anche se ci ho messo un po’ ad accorgermene, quando sono rientrati avevano tutti pressappoco l’età che ho io adesso» (p. 319).
È una riflessione sull’esperienzialità umana che esige di essere favorita non soltanto in astronautica, ma in occasione di ogni evento tecnico-scientifico. Solo i dati – i numeri – non bastano per recepire conoscenza e saggezza offerti. Occorre sempre l’integralità e l’unicità dell’umano.
Prima o poi le missioni da e verso la Luna diverranno routine – come oggi lo è un volo fra Milano e Roma – grazie al progresso tecnologico, agli interessi economici e ai cambiamenti socioculturali. E come ancora oggi un bimbo si stupisce di fronte al suo primo volo in aereo e rimane a bocca aperta di fronte al panorama offerto dal finestrino, così ogni persona che lascerà la gravità terrestre per quella lunare si accingerà a fare quello che l’umano è in grado di fare meglio. Provocazione della Luna, costitutivo della vita. Stupirsi.
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PROSSIMA FERMATA: LUNA
di Giuseppe Reibaldi
President of Moon Village Association, Vienna
Il volo spaziale umano è iniziato nel 1961 con il lancio di Yury Gagarin. Da allora, la maggior parte delle missioni umane sono state effettuate nella cosiddetta "Low Earth Orbit" (LEO), ossia a un'altitudine orbitale di circa 400 km. Centinaia di astronauti hanno volato in zona LEO, e negli ultimi 20 anni la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è stata permanentemente abitata.
La Stazione Spaziale Internazionale è stata un enorme successo politico e tecnico. Tuttavia, il programma ISS terminerà nei prossimi anni, anche se gli stakeholders interessati a livello nazionale/internazionale negli Stati Uniti, Europa, Giappone, Russia, Cina e altri continueranno le loro attività. Nuove e importanti iniziative imprenditoriali sono previste nella LEO e ciò consentirà un costante utilizzo delle attuali opportunità per fornire una gamma di nuovi servizi. È il momento di guardare alla nostra prossima tappa oltre LEO.
È la Luna la prossima destinazione dell'umanità? Perché dovremmo tornarci dopo 50 anni?
La Luna è la prossima destinazione poiché è il corpo più vicino alla Terra, raggiungibile in soli 3-4 giorni di viaggio – molto meno rispetto ai circa 8 mesi necessari per raggiungere Marte.
Perché dovremmo tornare lì?
Quando siamo andati sulla Luna negli anni '60, le motivazioni erano radicate nella realtà politica della Guerra Fredda. Gli Stati Uniti erano in corsa per lo spazio con l'URSS fin dal lancio dello Sputnik nel 1957: andare sulla Luna prima dei Russi era diventata una priorità nazionale che aveva lo scopo di dimostrare al resto del mondo che il sistema occidentale era il migliore.
Una volta che la corsa allo spazio fu vinta dagli Stati Uniti quando l'Apollo 11 sbarcò sulla Luna nel luglio 1969, la motivazione a continuare con l'esplorazione della Luna venne meno, così terminarono le missioni Apollo. L'ultimo uomo a mettere piede sulla Luna lo fece nel dicembre 1972, con la missione Apollo 17.
In quasi mezzo secolo dall'ultima missione umana sulla Luna, molto è cambiato:
- Nuove scoperte sono state fatte sulla Luna, come la presenza di acqua o di materiali e terre rare e di altre risorse potenzialmente economicamente preziose;
- Le industrie private posseggono oggi nuove tecnologie utili per intraprendere missioni impegnative e stimolanti, come l'atterraggio di una navicella spaziale sulla Luna, senza avere necessità di un sostegno governativo, e per creare modelli di business finanziariamente sostenibili.
La combinazione di questi sviluppi ha reso l'esplorazione della Luna finanziariamente interessante e quindi potenzialmente sostenibile. Questo spiega perché in molti Paesi, sia i governi che le aziende hanno in programma di andare sulla Luna, per ampliare le conoscenze scientifiche e valutare fino a che punto le risorse naturali presenti sul nostro satellite possano generare nuova ricchezza per l'umanità.
Accanto alle ragioni concrete sopra indicate, c'è la spinta umana verso l'esplorazione. Da quando ha mosso i primi passi in Africa, l'umanità ha sempre esplorato per migliorare le proprie condizioni. Ciò è probabilmente connaturale alla nostra identità umana. Ora, come disse Konstantin Tsiolkoswki all'inizio del XX secolo, "la Terra è la culla dell'umanità, ma non si può rimanere nella culla per sempre". La Luna è lì per aiutarci a spingerci al di fuori della Terra. Senza la Luna, sarebbe stato molto più difficile avviare l'esplorazione umana dello spazio. L'esplorazione e l'insediamento sulla Luna sono il primo passo per rendere l'umanità una “specie multi planetaria”. Esploriamo per ampliare le nostre conoscenze, e questo ci dà l'ispirazione per guardare positivamente al futuro piuttosto che essere ripiegati sui nostri problemi quotidiani. Inoltre, l’esplorazione della Luna potrà aiutare l'umanità a cooperare su scala globale e a costruire una società più giusta e più inclusiva, imparando dalla storia.
Tuttavia, una domanda importante ha ancora bisogno di una risposta: come possiamo andare sulla Luna in modo coordinato?
Questo è un ostacolo impegnativo come lo è qualsiasi problema ingegneristico o tecnologico da risolvere. Abbiamo bisogno di coordinare in qualche modo programmi e piani aziendali già esistenti; dobbiamo definire architetture aperte a tutti gli stakeholders, che includano gli interessi governativi, aziendali, scientifici e pubblici. La risposta potrebbe ben essere il Moon Village, una concezione condivisa della Luna come destinazione per molteplici utenti e per diverse missioni, per obiettivi di natura scientifica, per l’utilizzo delle risorse, per una presenza umana stabile, e per molto altro. Il Moon Village non sarà una "ISS sulla Luna": è concepito come il risultato di tutti gli sforzi - privati, governativi e di altro tipo - volti ad esplorare e utilizzare la Luna in modo sostenibile.
Dunque è necessario essere più precisi su come procedere per realizzare questo interessante progetto. La organizzazione non governativa (ONG) Moon Village Association (MVA), con sede a Vienna, è stata recentemente creata proprio per favorire la realizzazione del Moon Village. Il suo obiettivo è la creazione di un forum informale globale per i governi, l'industria, il mondo accademico e il pubblico interessato allo sviluppo del Moon Village, un forum che favorisca collegamenti permanenti tra tutti i soggetti interessati. L'Associazione promuoverà la cooperazione per i programmi globali - esistenti o pianificati – per l’esplorazione della Luna, siano essi iniziative pubbliche o private.
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L'utilizzo della Luna è un obiettivo a medio-lungo termine per l'umanità e richiederà il coinvolgimento del maggior numero possibile di Paesi. Questo è il motivo per cui la MVA sta coinvolgendo individui e organizzazioni appartenenti alla società comune, così come i tradizionali protagonisti delle missioni aerospaziali. Colmare il divario tra i programmi spaziali e i cittadini, tra i paesi in via di sviluppo e i paesi sviluppati sono obiettivi chiave della MVA. L'Associazione offrirà la possibilità agli attori "non tradizionali" di fornire preziosi input per l'implementazione del Moon Village.
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I privati cittadini, così come le industrie, le agenzie spaziali, le università, i centri di ricerca e altri hanno bisogno di una piattaforma comune dove scambiare idee e creare nuove connessioni su scala globale. La MVA sta costruendo questa piattaforma con una presenza globale di networks regionali. Alcune reti sono già state create in Cina, Europa, Africa, India, Cipro e America Latina; ne seguiranno altre. Queste reti locali stanno organizzando eventi di sensibilizzazione per coinvolgere gli stakeholders locali, ottenere il loro sostegno e dare loro l'opportunità di partecipare al Moon Village.
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I partecipanti alla MVA svolgeranno un ruolo importante nel raggiungimento dell'unico obiettivo comune di espandere la presenza umana in modo permanente oltre la Terra. In particolare, il settore pubblico è uno dei principali stakeholder e dovrebbe svolgere un ruolo attivo nella definizione di Villaggio lunare, poiché vi è la necessità di coinvolgere tutte le possibili competenze e idee, dall'etica e spiritualità, all'ingegneria e molto altro ancora.
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La creazione del Moon Village sta implicando diverse sfide e opportunità. Alcune delle sfide sono legate alla soluzione di problemi etici quali il diritto di utilizzare le risorse spaziali per scopi commerciali, le regole per condividere i benefici di tali risorse con l'intera umanità, i diritti dei futuri residenti sulla Luna. Molte attività sono in corso per affrontare tali questioni. Tra queste la creazione di un codice di condotta internazionale che regolerà l'accesso e l'uso delle risorse spaziali. Mentre l'area della legge spaziale è in rapida espansione, l'etica spaziale deve recuperare il ritardo per garantire che le interazioni umane nello spazio siano sicure, eque e vantaggiose per tutta l'umanità.
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Anche la dimensione spirituale ed etica è una componente importante della creazione del Moon Village dal momento che la presenza umana ne è parte integrante. È necessario sviluppare un approccio olistico che tenga in considerazione le diverse discipline e le diverse esigenze umane, questione che richiede l'attenzione degli studiosi di tutto il mondo. Alcuni corsi specifici devono essere istituiti con lo scopo di sviluppare la sensibilità per i temi descritti, per formulare proposte concrete e per informare la società sulla grande opportunità che il Moon Village offrirà.
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I tempi sono maturi per concentrarsi sulla prossima tappa dell'umanità nello spazio: la Luna. Sta per nascere un nuovo mondo. Non è mai stato così importante procedere in modo coordinato per impegnare tutte le risorse umane e tecniche disponibili a beneficio dell'umanità; l'emergente attenzione globale su un Villaggio lunare è il modo ideale per realizzare pacificamente questo progetto.
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Una visione artistica del futuro Moon Village.
BELLEZZA, LAVORO ED ENTUSIASMO. La comunicazione dell'allunaggio tra giornalismo e arte
di Maria Covino
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“Gli astronauti tornano dallo spazio innamorati della Terra”.
Mario Calabresi, A occhi aperti
“La bellezza è per entusiasmare al lavoro, il lavoro è per risorgere”.
Ciprian Norwid
Nel 2007 l’informatico Randy Pausch nell’ultima lezione della sua carriera, con la morte che gli stava di fronte, raccontava così la nascita del desiderio di far sognare altri con il proprio lavoro: “con l’avanzare degli anni, spesso si scopre che l’aspetto di rendere possibili i sogni degli altri è una cosa ancora più divertente”, e aggiungeva: “era facile sognare a quei tempi. Sono nato nel 1960 e, quando a otto, nove anni guardi la televisione e vedi degli uomini atterrare sulla luna, qualunque cosa è possibile e questa è una cosa che non dovremmo perdere di vista: l’ispirazione e il permesso di sognare sono qualcosa di enorme” [1].
L’unione tra avventure spaziali, bellezza e lavoro rispecchia la percezione di molti testimoni oculari dell’evento allunaggio: esso fu un’esperienza di bellezza per chi aveva lavorato alla sua realizzazione e per quanti lo videro da casa propria. Fu parte di un’avventura politico-economica ed insieme un simbolo del quid umano.
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L’immaginario americano e, di conseguenza, occidentale si nutrì delle vicende e delle immagini dello spazio grazie alla televisione, al cinema e alla stampa. La rivista illustrata LIFE fu una sorta di cronista ufficiale della conquista dello spazio. Nel 1969 uscirono due edizioni speciali: “The Incredible Year ’68” del 10 gennaio e “To the Moon and Back” dell’11 agosto.
In entrambi i numeri, l’impaginazione è organizzata in modo da fornire le informazioni in un contesto di fotografie che catturano l’attenzione con i loro colori accattivanti, le scritte ridotte al minimo e affidate a uno stile poetico ed epico. Alle poesie del poeta laureato dell’epoca, James Dickey, si affiancano delle piccole biografie dei tre astronauti-eroi.
Si intrecciano due visioni completamente opposte dell’umano: in un titolo i tre uomini vengono detti destinati allo spazio sin dall’infanzia, in un altro luogo una dichiarazione di Neil Armstrong fa riferimento alla loro determinazione a forgiare le loro carriere nell’areonautica da uomini liberi: “Eravamo più che semplici piloti. Noi eravamo ingegneri e sviluppatori che usavano gli aeroplani soltanto come strumenti, proprio come un astronomo usa il telescopio come strumento”[2].
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Dalla lettura delle loro vite, emerge che la passione, il sacrificio e un’ampia preparazione erano tutti elementi per realizzare quel sogno di bellezza che li aveva animati sin da piccoli. Il loro sguardo puntato verso il cielo lascia il passo nelle altre pagine a fotografie di persone che guardano anche loro il cielo, ma questa volta per vedere l’allunaggio. Per molti è uno sguardo non finalizzato ad altro che alla contemplazione e al rallegramento collettivo. È uno sguardo lungo, che non ha bisogno di vivere in prima persona l’esperienza, perché gioisce della riuscita di altri esseri umani come se fosse la propria. Sono molti i titoli di giornale in quegli anni, infatti, a parlare al singolare di “uomo” nello spazio o sulla luna. Ed è uno sguardo remoto che ricorda quello di Galileo, che da lontano, con razionalità, passione e preparazione, riesce a conoscere qualcosa pur non avendo toccato niente con mano: è la via della conoscenza nella bellezza che non può mai essere separata dalla conoscenza per via sperimentale.
Sulla potenza di questo sguardo, della comunicazione simbolica che precede quella funzionale, si basava tutto il discorso con cui il 25 maggio 1961 Kennedy, appena eletto Presidente, si rivolgeva al Congresso per chiedere di mettere in cima alle priorità l’obiettivo Luna. È il discorso che inaugurò il decennio in cui gli Americani riuscirono per primi a mettere piede sulla Luna. Come se non fosse bastata l’umiliazione dello Sputnik nel 1957, gli Stati Uniti erano appena stati sconfitti dai sovietici, che erano riusciti a mandare Gagarin nello spazio il 12 aprile.
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Nella nona sessione, quella dedica allo spazio, il Presidente poneva l’obiettivo in termini chiari: “In primis, credo che questa nazione debba prendersi l’impegno di raggiungere l’obiettivo, prima della fine di questo decennio, di far atterrare un uomo sulla luna e di farlo ritornare sulla Terra sano e salvo”. Chiedeva un impegno totalizzante a “ciascuno scienziato, ciascun ingegnere, ciascun militare, imprenditore e impiegato statale”: “non sarà solo un uomo ad andare sulla luna (…), ma un’intera nazione. Poiché tutti noi dobbiamo lavorare per farlo arrivare lì”. La posta in palio era altissima: la libertà contro la tirannia e il nostro futuro sulla terra. L’avventura nello spazio sarà portata avanti “al passo spedito della libertà” [3]. Con questo spirito, Kennedy passa a fornire informazioni sui dati in termini di azioni specifiche, tempistiche e costi.
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Kennedy lancia lo sguardo più in là: “una nuova grande impresa americana ai limiti estremi del sistema solare”. Il suo entusiasmo è quello antico di Ulisse alle Colonne d’Ercole e quello del Buzz Aldrin di Toy Story (1995), il cui motto sarà “verso l’infinito e oltre”. Che si tratti di opere d’arte di finzione o di documenti reali, la comunicazione dell’allunaggio e delle altre imprese spaziali è uno dei più famosi esempi di bellezza che è verità, simbolo, linguaggio e realtà. É la bellezza di un sogno realizzato per mezzo di un lavoro personale e collettivo che è il frutto della fatica e del progresso di tutta la storia dell’uomo. Le immagini dell’allunaggio sono il prodotto artistico in cui sogni e realtà sono fatti quasi della stessa materia. Dalla leggenda di Marcolfo (o Marcolfa) sulla luna ai libri fantastici di Verne e Wells (solo per citarne due), dal primo cortometraggio, Le Voyage dans la Lune (1902), al film di Kubrick del 1968 2001:Odissea nello Spazio, gli esseri umani si avvicinano sempre più a vedere realizzato il sogno dell’uomo sulla luna. Una missione, ritenuta da alcuni economicamente sterile in sé, rivela tutto il potenziale del simbolo: una bandiera e delle orme possono infiammare la fantasia di molte persone e farle lavorare affinché la conoscenza umana vada avanti in tutti i campi del sapere e della tecnica.
Al cuore di tutte queste narrazioni troviamo l’essere umano, celebrato, difeso ed educato. La tecnologia è al suo servizio e la sfida al centro della sua storia è quella, non solo della sua sopravvivenza, ma soprattutto della sua libertà, che lo definisce essere che è proiettato “verso l’infinito e oltre”. Sia nel viaggio nello spazio sia nel rientro sulla Terra, l'astronauta (e quindi l'umanità) viene orientato da quella bellezza di cui abbiamo parlato fin qui; la bellezza diventa il criterio per operare scelte al bivio tra la vita e la morte, la libertà e la tirannide. E in questo senso si vede realizzata l’affermazione di Pavel Florenskij, secondo cui: “la bellezza eÌ€ il discernimento estetico della vita”[4].
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BREVE BIBLIOGRAFIA
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E. Anati, Le origini dell’arte e della contestualità, Jaca Book, Milano, 1988.
P. Florenskij, L’arte di educare, N. Valentini (a c. di), Editrice La Scuola, Brescia, 2015.
H. Knox, “Space Poems: Close Encounters Between the Lyric Imagination and 24 Years of NASA Space Exploration” in Lunar Bases and Space Activities of the 21st Century, W. W. Mendell (ed.), Houston, TX, Lunar and Planetary Institute, 1985, pp. 771-784.
LIFE, Special Edition “The Incredible Year ’68”, New York, 10 gennaio 1969.
LIFE, Special Edition “To the Moon and Back”, New York, 11 agosto 1969.
G. Rondolino, D. Tomasi, Manuale di storia del cinema, UTET, Torino, 2014.
D. Sage, How Outer Space Made America. Geography, Organization and Cosmic Sublime, Ashgate, Famham, Burlington, 2014.
G. Steiner, Vere Presenze, Garzanti, Milano, 2014.
[1] Randy Pausch’s Last Lecture. Really Achieving Your Childhood Dreams a disposizione presso il sito della Carnegie Mellon University [Tutte le traduzioni sono dell’autrice dell’articolo]
[2] LIFE, Special Edition “To the Moon and Back”, New York, 11 agosto 1969, p. 37.
[3] Questo discorso di J. F. Kennedy e altri documenti scritti e audiovisivi sono consultabili al sito https://history.nasa.gov/moondec.html
[4] Pavel Florenskij, L’arte di educare, Editrice La Scuola, Brescia, 2015, p. 32.
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UDIENZA GENERALE di Paolo VI
23 luglio 1969
Prendendo spunto dallo sbarco degli astronauti sulla Luna, avvenuto il 21 luglio, Paolo VI sviluppa una interessante riflessione sul valore positivo del progresso, e sul rapporto fra modernità e vita religiosa. Nel mistero di Cristo, Verbo incarnato, risiedono le ragioni della fede e della visione ottimista del progresso scientifico.
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Diletti Figli e Figlie!
Si è tanto parlato in questi giorni, e in tutto il mondo, e con tutte le voci possibili, dell’impresa lunare; Noi stessi vi abbiamo dedicato qualche esclamazione ammiratrice, così che sembrerebbe ora cosa migliore per Noi tacerne che parlarne. Ma, oltre il fatto che proprio domani la straordinaria escursione planetaria deve concludersi con il ritorno, che auguriamo felicissimo, degli astronauti sulla terra, questo avvenimento penetra talmente nella psicologia della pubblica opinione da costituire una sorgente di pensieri, di questioni, di spiritualità, che commetteremmo un peccato di omissione, se non Ci fermassimo, anche in questo familiare incontro, a meditarlo un po’. È purtroppo vero che la superficialità è una abitudine di moda. Anche le più forti impressioni, che a noi vengono dall’esperienza della vita moderna, si cancellano subito; o subito sono soverchiate da altre successive, così che spesso manca il tempo, manca la voglia di approfondirle, e di coglierne il significato, la verità, la realtà. Ma in questo caso il trauma della novità e della meraviglia è così forte, che sarebbe stoltezza non riflettere su questa, possiamo dire, sovrumana e storica avventura, alla quale tutti abbiamo, come spettatori esterrefatti, in qualche modo – anche questo meraviglioso – assistito.
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Apprezzare i valori della vita moderna
Ciascuno vi pensi a suo modo, purché vi pensi! L’importanza degli studi scientifici può essere di per sé oggetto di interminabili considerazioni. Ad esempio, quella circa lo sviluppo e il progresso, che questi studi hanno avuto nel tempo nostro, fino a modificare la mentalità umanistica tradizionale della nostra cultura e della nostra scuola; il che vuol poi dire della nostra vita. Il bilancio di questi studi positivi e scientifici è così attivo, che una grande attrattiva vi polarizza molta parte delle nuove generazioni, e un ottimismo sognatore sulle loro future conquiste ne fa quasi un’iniziazione profetica. E sia pure. Il campo scientifico merita ogni interesse.
Ma intanto potremmo, di passaggio, osservare come sia fuori luogo, almeno a questo riguardo, il disfattismo oggi di moda contro la società e la sua compagine, e in genere contro la vita moderna. Questo disfattismo seduce oggi perfino qualche parte della gioventù, e altri uomini di pensiero e d’azione; li gratifica di audace progressismo, e sembra loro conferire una personalità superiore, quando li riempie di istinti ribelli e di spregiudicato disprezzo verso la nostra età e verso il suo sforzo creativo. La vita invece è seria; e ce lo insegna la somma immensa di studi, di spese, di fatiche, di ordinamenti, di tentativi, di rischi, di sacrifici, che una impresa colossale, come quella spaziale, ha reclamati. Criticare, contestare è facile; non così costruire, in questa iniziativa si comprende; ma parimente in altre moltissime da cui risulta la nostra presente civiltà. Perciò Ci sembra che un dovere di ripensamento e di apprezzamento dei valori della vita moderna ci sia intimato dall’avvenimento che stiamo celebrando. Noi non neghiamo alla critica i suoi diritti, né rimproveriamo al genio dei giovani il suo istinto di emancipazione e di novità. Ma riteniamo non degno di giovani il decadentismo iconoclasta e privo di amore dei contestatori di mestiere. I giovani devono sentire l’impulso ideale e positivo che loro è offerto dalla magnifica avventura spaziale. Ed allora ecco un’altra considerazione. Questo nostro aperto suffragio per la progressiva conquista del mondo naturale, per via di studi scientifici, di sviluppi tecnici e industriali, non è in contrasto con la nostra fede e con la concezione della vita e dell’universo, ch’essa comporta. Basta ricordare quanto insegna a questo riguardo il recente Concilio (Gaudium et spes, nn. 37, 58, 59, ecc.).
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Ingiustificate diffidenze per la religione
Qui tocchiamo uno dei punti più delicati della mentalità moderna rispetto alla nostra religione cattolica, una religione cioè positiva, con sue dottrine ben determinate, e ordinate a sistema unitario, incentrato in Gesù Cristo, nel suo Vangelo, nella sua Chiesa. Ora è facile riscontrare nella mentalità dell’uomo odierno, specialmente di quello dedicato agli studi scientifici, una duplice serie di difficoltà: una di ordine essenziale, l’altra di ordine storico. Come può, dice oggi lo studioso, entrare nello schema dogmatico e rituale della vita cattolica l’immenso patrimonio delle scoperte scientifiche, con l’impiego libero e totale della ragione, e con la concezione che ne risulta sul mondo e sull’umana esistenza? E come può, insiste lo studioso osservando i mutamenti continui, rapidi e macroscopici, che avvengono col volgere del tempo nel pensiero e nel costume dell’uomo moderno, rimanere intatta la religione tradizionale, racchiusa in una mentalità statica e d’altri tempi?
Occorrerebbero libri interi, sia per formulare queste obiezioni capitali, sia per rispondervi. Non è certo qui, né in questo momento che lo faremo. Ma ora Ci basti rassicurarvi. La fede cattolica, non solo non teme questo poderoso confronto della sua umile dottrina con le meravigliose ricchezze del pensiero scientifico moderno, ma lo desidera. Lo desidera, perché la verità, anche se si diversifica in ordini differenti e se si appoggia a titoli diversi, è concorde con se stessa, è unica; e perché è reciproco il vantaggio che da tale confronto può risultare alla fede (cfr. Gaudium et spes, n. 44) e alla ricerca e allo studio d’ogni campo conoscibile.
È stata questa una delle affermazioni caratteristiche e più documentate del pensiero cattolico apologetico del secolo scorso e della prima metà del nostro secolo, con risultati magnifici, dei quali le nostre Università sono documenti gloriosi.
Adesso si profilano altre tendenze, che suppongono, non smentiscono la precedente: quella, che si rifà alla famosa parola di Sant’Agostino, e che possiamo dire psicologica: «Tu, (o Signore), ci hai fatti per Te ed è inquieto il nostro cuore, finché non si riposi in Te» (Confessiones 1, 1). Il bisogno di Dio è insito nella natura umana, e quanto più essa progredisce tanto più essa avverte, fino al tormento, fino a certa drammatica esperienza, il bisogno di Dio. Ovvero quella che, tanto per intenderci, potremmo dire la tendenza cosmica: chi studia, chi cerca, chi pensa non può sottrarsi ad una obiettiva onnipresenza di Dio, antica verità, che il Libro sacro sempre ci ripete: «Dove andrò io lungi dal Tuo spirito (o Signore), e dove fuggirò io dalla Tua faccia?» (Ps. 138, 7). Impossibile sottrarsi da questa presenza, di cui la materia, la natura è, per chi lo sa comprendere, un libro di lettura spirituale: «In Lui (cioè in Dio, dice San Paolo) noi viviamo, ci muoviamo, ed esistiamo» (Act. 17, 28). Il Dio ignoto è sempre lì; ogni studio delle cose è come un contatto con un velo dietro il quale si avverte un’infinita palpitante Presenza.
Cristo, principio e fine del cosmo
Ora qui è l’attimo sublime, l’attimo della rivelazione, l’attimo in cui Cristo apre il velo e appare nella storica e semplice scena del Vangelo. Chi è Cristo? Ecco la questione decisiva. Risponde San Giovanni, al primo capitolo del suo Vangelo: è il Verbo, è Dio, è Colui per virtù del Quale tutte le cose furono fatte.. E San Paolo confermerà: è Colui che «è avanti a tutte le cose; e tutte le cose sussistono per lui» (Col. 1, 17); ed è Colui che un giorno, il giorno finale «della restaurazione di tutte le cose» (della «apocatastasi»: Act. 3, 21) nel quale Egli con la sua potenza «assoggetterà a sé tutte le cose» (Phil. 3, 21). Cioè Cristo è l’alfa e l’omega, il principio e il fine (cfr. Apoc. 1, 8; 21, 6; 22, 13), non solo per i destini dell’uomo, ma per il cosmo intero, che in Lui ha il suo punto focale, donde ogni senso, ogni luce, ogni ordine, ogni pienezza.
Non temiamo, Figli carissimi, che la nostra fede non sappia comprendere le esplorazioni e le conquiste, che l’uomo va facendo del creato, e che noi, seguaci di Cristo, siamo esclusi dalla contemplazione della terra e del cielo, e dalla gioia della loro progressiva e meravigliosa scoperta. Se saremo con Cristo saremo nella via, saremo nella verità, saremo nella vita. Con la Nostra Benedizione Apostolica.