top of page
GIUBILEO MMXXV/2025
Giotto,_bonifacio_VIII_proclama_il_giubileo_del_1300,_frammento_02.jpg

Risale al 1300, sotto Bonifacio VIII, l’istituzione del primo Giubileo cristiano, con la concessione dell’indulgenza plenaria a quanti si fossero recati alle basiliche di San Pietro e San Paolo. Fu poi Paolo II a fissare il Giubileo ogni 25 anni.

 

Nel popolo ebraico il suono del corno d’ariete, lo yobel, sanciva l’inizio del Giubileo, anno in cui la terra rimaneva a riposo e gli schiavi venivano liberati. L’occorrenza si verificava ogni cinquant’anni. Nel libro del Levitico leggiamo:

 

«Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel Paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il giubileo, esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest'anno del giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo».

Giotto, Bonifacio VIII, 1300 -                                                        Affresco Basilica San Giovanni in Laterano, Roma

Nella storia della Chiesa furono indetti anni santi già nel 1122, quando papa Callisto II († 1124) stabilì un anno giubilare per il 1126 in onore dell’apostolo san Giacomo il Maggiore. Per ottenere il perdono dei peccati e in particolare delle relative pene temporali era necessario recarsi in pellegrinaggio a Santiago di Compostela, confessarsi e comunicarsi. Da allora furono celebrati gli anni santi giacobei quando la festa del santo, che ricorre il 25 luglio, cade di domenica. La cadenza regolare di sei, cinque, sei, undici anni fa sì che ci siano quattordici anni santi giacobei ogni secolo.

Nel 1216 fu concesso poi il Perdono d’Assisi da papa Onorio III con l’indulgenza plenaria per chi, confessato e comunicato, avesse visitato la Porziuncola il 2 agosto, «dai primi vespri compresa la notte, sino ai vespri del giorno seguente» (indulgenza poi modificata ed estesa ad altre chiese nei secoli successivi). Nel 1294 papa Celestino V concesse il perdono di tutti i peccati, sia per la colpa che per la pena, a chi si fosse recato in pellegrinaggio alla basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila dai vespri del 28 agosto a quelli del 29. Da allora l’evento si ripete ogni anno ed è noto come Perdonanza Celestiniana nelle stesse date, così come ogni anno da più di ottocento anni si celebra il Perdono d’Assisi.

Col perdono di papa Celestino V siamo quasi alla vigilia del primo Giubileo cristiano (secondo la tradizione) che fu sancito da papa Bonifacio VIII il 22 febbraio 1300 con l’emanazione della bolla Antiquorum habet fida relatio che concedeva l’indulgenza plenaria a chi si fosse recato in pellegrinaggio alle basiliche di San Pietro e di San Paolo almeno una volta al giorno per trenta giorni (consecutivi o meno), se residente a Roma, o per quindici giorni, se abitante all’esterno della città. Condizioni per la remissione dei peccati erano, come sempre, il pentimento e la confessione.

In realtà, l’affluenza di pellegrini a Roma era già iniziata da diversi mesi, alla fine del 1299. Folle di fedeli si recavano sulla tomba di san Pietro, convinte che la visita avrebbe permesso loro di lucrare il perdono per l’approssimarsi dell’anno centenario. Il numero dei credenti crebbe ancora di più all’avvicinarsi del Natale. Il papa ricercò se ci fossero basi storiche per accreditare quella credenza popolare. Non trovò nulla. Decise comunque di emanare una bolla con la quale decretava l’anno santo ogni cent’anni. L’indulgenza poteva essere lucrata dal Natale 1299 fino alla vigilia di Natale del 1300. Venivano perdonati tutti i peccati ed era cancellata ogni pena.

Nei mesi successivi la folla dei fedeli crebbe in maniera impressionante. Da ogni parte d’Europa giungevano credenti. Non si era mai visto un afflusso tale. Le cronache dell’epoca riportano dati forse esagerati e iperbolici: ogni giorno entravano e uscivano trentamila pellegrini dalla città; alla vigilia di Natale a Roma erano presenti due milioni di pellegrini. Non è possibile attestare la veridicità di questi dati, ma comunque essi documentano la meraviglia delle persone dinanzi al fenomeno che si stava verificando nella città santa. Certamente l’evento fu tale che furono presi provvedimenti eccezionali per favorire la circolazione, ad esempio l’apertura di un’altra porta per accedere in città.

Cosa accadde dopo il primo Giubileo? Venne mantenuta la cadenza dei cent’anni voluta da papa Bonifacio VIII? Durante la cattività avignonese papa Clemente VI accondiscese alle richieste provenienti da più parti che il Giubileo venisse celebrato ogni cinquant’anni. Si ebbe così il secondo Giubileo nel 1350. Papa Urbano VI fissò la cadenza del Giubileo ogni 33 anni. Alla sua morte (1389) il papa successore Bonifacio IX indisse il Giubileo per il 1390. Successivamente vennero celebrati i Giubilei del 1400, 1425, 1450. Saltò la data prevista del 1433. Una bolla del 1470 di papa Paolo II fissò il Giubileo ogni 25 anni. Da allora i Giubilei vennero celebrati ogni 25 anni, nella forma ordinaria. Il papa può, però, indire anche un Giubileo straordinario quando lo ritenga opportuno.

Tanti artisti e letterati si recarono a Roma per il Giubileo, lo raccontarono e lo descrissero nelle loro opere. Ne parleremo a partire dalla prossima puntata.

  • Dante racconta il primo Giubileo continua

DANTE RACCONTA IL PRIMO GIUBILEO

 

L’evento del Giubileo del 1300 segna indelebilmente la memoria del poeta per esperienza diretta o attraverso i racconti e le immagini di quella folla immensa, mai vista in quell’epoca, che discendeva verso Roma lungo le vie del pellegrinaggio.

 

Tanti artisti e letterati si recarono a Roma per il Giubileo. Probabilmente Dante doveva essere tra questi.

 

Già nella prima opera, la Vita nova, Dante aveva dedicato un intero capitolo al pellegrinaggio. L’uomo medioevale si percepisce come homo viator ovvero uomo in viaggio da questa terra verso la vera patria, quella celeste. Certo dell’eternità e dell’aldilà, nel Medioevo l’uomo guarda questo mondo come anticipazione dell’altro, così come legge l’Antico Testamento come profezia del Nuovo.

 

La Vita Nova è una sorta di romanzo giovanile in cui il poeta rilegge la sua storia passata a partire dalla luce dell’incontro con Beatrice. Quando la donna amata muore, Dante vede alcuni pellegrini che sostano a Firenze ed è convinto che, consapevolmente o no, essi si siano fermati nella città per rendere omaggio alla donna.

 

Dante spiega allora al lettore i differenti nomi che si assegnano loro: palmieri, quando si recano a Gerusalemme, perché portano indietro le palme; romei se vanno a Roma; pellegrini se si recano a Santiago in visita all’apostolo san Giacomo. In tutti e tre i casi i pellegrini «vanno in servigio dell’Altissimo» ovvero lo spirito del pellegrino sta in questa offerta riconoscente, in cammino per vedere e per ascoltare Cristo e la sua rivelazione oggi.

 

L’evento del Giubileo del 1300 segna indelebilmente la memoria del poeta per esperienza diretta o attraverso i racconti e le immagini di quella folla immensa, mai vista in quell’epoca, che discendeva verso Roma lungo le vie del pellegrinaggio.

 

Non è possibile rispondere con certezza se Dante abbia visto di persona l’afflusso di folla a Roma per il Giubileo o gli sia stato raccontato l’anno successivo, quando fu a Roma come ambasciatore di Firenze dal papa Bonifacio VIII. Dante sembra lasciar intendere di aver visitato Roma quando nella Divina Commedia descrive la folla per le vie della città nell’ottavo cerchio di Malebolge.

 

Nella prima bolgia i ruffiani e i seduttori camminano in senso contrario proprio come durante il Giubileo quando, per facilitare l’afflusso della folla, il ponte di Castel Sant’Angelo viene diviso in due da una transenna:

da l’un lato tutti hanno la fronte

verso ‘l castello e vanno a Santo Pietro,

da l’altra sponda vanno verso ‘l monte.

 

Più avanti nel viaggio, sempre all’Inferno, arrivato al pozzo dei giganti, Dante fa riferimento alla pigna della Basilica di San Pietro: era stato papa Simmaco IV a farla trasportare lì, mentre prima si trovava davanti al mausoleo di Adriano o al Pantheon. Bronzea e gigantesca, raggiungeva più di quattro metri di altezza tanto che Dante paragona la faccia del gigante Nembrot alla pigna di San Pietro. 

 

Nella Commedia l’immagine del pellegrino ritorna per ben due volte nel canto XXXI del Paradiso: una prima volta quando Dante contempla lo spettacolo della rosa dei beati, proprio come un pellegrino che giunga alla meta del santuario e trovi ristoro nel guardarlo ammirato; una seconda, quando si volge verso Beatrice per avere spiegazioni e trova invece un vecchio dall’atteggiamento benevolo. È san Bernardo che lo invita a guardare tutta la Candida Rosa, perché la contemplazione lo preparerà alla visione di Dio. Dante osserva commosso il volto del santo come un pellegrino che non si sazia di vedere il volto di Gesù impresso nel sudario della Veronica, conservato nella basilica di San Pietro.

 

Seconda una tradizione cristiana l’immagine si era impressa su un velo che una pia donna di nome Veronica aveva usato per asciugare il volto sanguinante del Signore. Il nome Veronica, di cui non si conserva memoria nei Vangeli, deriva da «vera icona» ovvero «vera immagine» di Gesù. Già nella Via Nova Dante si ricorda dell’immagine della Veronica nel capitolo XL: «Molta gente va per vedere quella imagine benedetta la quale Iesù Cristo lasciò a noi per essemplo de la sua bellissima figura». Probabilmente il sudario venerato nel Medioevo è il Santo Volto conservato a Manoppello.

 

Leggiamo nel canto XXXI del Paradiso:

 

Qual è colui che forse di Croazia

viene a veder la Veronica nostra,

che per l’antica fame non sen sazia,

ma dice nel pensier, fin che si mostra:

’Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,

or fu sì fatta la sembianza vostra?’;

tal era io mirando la vivace

carità di colui che ’n questo mondo,

contemplando, gustò di quella pace.

 

In parafrasi: «E come colui che forse fin dalla Croazia viene a vedere il sudario della Veronica (a Roma), che non si stanca mai di guardarlo per il lungo desiderio che ha avuto, ma dice dentro di sé, durante l’esposizione del sudario: “Signore mio, Gesù Cristo, vero Dio, proprio così era il vostro volto?”; tale ero io mentre ammiravo il vivo spirito di carità di colui che sulla Terra pregustò, con la contemplazione, la pace del Paradiso».

 

Petrarca si ricorderà del pellegrino dantesco che dalla Croazia si muove verso Roma per vedere il sudario quando scrive uno dei sonetti più famosi (Canzoniere XVI): Movesi il vecchierel canuto et bianco. Il poeta descrive un vecchio stanco, disposto a lasciare tutto, anche la sua famiglia, negli ultimi giorni della sua vita, per recarsi a Roma alla ricerca della Veronica, il cui nome è celato nell’espressione «forma vera» dell’ultimo verso.

DANTE RACCONTA IL PRIMO GIUBILEO
bottom of page